curiosità stroriche padovane  1°

Vecchie case a Padova
La casa dei miei nonni
(Guido Caburlotto)

Era in via Bartolomeo Cristofori di fronte ad un vecchio palazzo nobiliare, faceva parte di una serie di casette con portico di proprietà del barone Treves che abitava il vicino palazzo al n° 3 di via Beato Pellegrino ed era evidentemente proprietario di tutto l’isolato.

 I Treves erano una ricca famiglia di banchieri ebrei e il mio ricordo si ferma a quando il “Barone” in persona era venuto a ritirare l’affitto dei miei nonni dicendo in perfetto padovano: “Parona so vegnù a tirare l’affitto, ma se desso no la poe me basta un cafè” .

Via B. Cristofori fa parte di Contrada San Leonardo. E’ un quartiere , molto vecchio, era abitato all’epoca dei miei ricordi, e siamo nell’immediato dopoguerra (1948) , solo da persone anziane. Era  raro infatti vedere bambini che girassero per le sue strade. Ci si arriva dal medievale ponte S. Leonardo, attraversando via Campagnola, detta anche Borgese, col suo vecchio cimitero ebraico.

Mio nonno Giovanni Vicinanza (classe 1873) e mia nonna Maria Bellucco hanno abitato questa casa da quando ai primi del ‘900 si sono sposati e trasferiti dalla natia Carrara S. Stefano a Padova. Qui è nata mia madre nel 1910. Qui mio padre andava “dalla morosa” negli anni ’30 , ma doveva andarsene al segnale della tromba che suonava la “ritirata” nella non lontana caserma dei carabinieri  allora situata a Palazzo Maldura.

Quando arrivavi tiravi (con forza) il pomello del campanello che, tramite una serie di fili e tiranti, faceva suonare la campana al secondo piano e, da sopra, tramite un tirante e altrettanti fili si apriva il portoncino (quante volte ho visto nonno Giovanni riannodare i fili che si spezzavano facilmente).

Salivi un piano di scale in pietra e da quel piano cominciavano le scale in legno il tutto illuminato da fioche e lunghe lampadine “Edison” che oggi non trovi più.

Arrivati al secondo piano ecco la casa dei miei nonni: sul pianerottolo a sinistra c’era la camera da letto matrimoniale con il lettone con sopra una “madonna di Pompei” che ora è sopra il mio letto, sulla sinistra si entrava nella parte giorno con un “salotto” con tavolo rotondo, un bellissimo lampadario a perline colorate, una stufetta “parigina”, una credenza con alzata, alcune seggiole impagliate, e una “ottomana” che ha ospitato tutti i fidanzati delle quattro figlie, sul lato un separè in legno che ricavava una camera da letto con due letti il tutto illuminato da due finestre che guardavano i giardini di palazzo Treves e della caserma dei carabinieri. Una porta portava in cucina dove unici arredi erano un tavolo con due sedie, una stufa a legna, una credenza e un lavello in pietra con rubinetto e acqua corrente. Sull’angolo una porticina portava al “bagno” uno stretto bugigattolo rettangolare con il gabinetto che occupava tutto il lato di fondo, la “tazza” era una seduta in legno, su un rialzo di mattoni, con buco centrale e relativo coperchio sempre in legno, ma mitica era la finestrella con la miglior vista sui giardini dei Treves e dei carabinieri. Dico mitica perché da  lì vedevi nobili e soldati a cavallo percorrere i giardini, ed io ne ero affascinato.

Alla soffitta si accedeva dalla prosecuzione della scala in legno, questa era traballante e portava al sottotetto, lì era il regno di nonno Giovanni, c’era di tutto, trapani a mano, morse, lime, la vecchia bicicletta con un pedale fisso (mio nonno aveva un ginocchio inutilizzabile), mattoni, coppi, vecchie cose dismesse. Il  nonno era un “meccanico” , aveva lavorato nell’officina di Barbato che da via Savonarola guardava al Tronco Maestro e, da quello che ho saputo, era lo sconosciuto inventore del pinza a cucchiaio per gelati (quella che fa le palline) .

 Lo ricordo a cambiare il fondo di una pentola in alluminio, senza saldature, lui alzava i bordi del fondo e della pentola, li univa, e poi li ribatteva, e la pentola riprendeva la sua preziosa funzione.

Erano gli artigiani del tempo, illetterati si ma con grande maestria. Quanto tempo ho passato a guardarlo!
La casa però aveva i suoi segreti,  i suoi luoghi nascosti. Uno di questi era l’androne di ingresso a piano terra. Entrati dal portone ci si trovava in un lungo corridoio buio, a destra le scale, più avanti una porticina che dava su una piccolissima corte  (sarà stata 5 metri per tre) con un bugigattolo di gabinetto e una porta che dava sulla camera da letto dell’inquilina del piano terra. Sul fondo del corridoio che formava una L la cucina della suddetta inquilina e girando un pozzo.

Si racconta che Sant’Antonio a che sembra sia stato ospite nella casa di fronte      ( forse Casa Camposampiero?) andasse a prendere acqua da quel pozzo. Comunque il pozzo aveva un coperchio in ferro, ben chiuso, ed era in disuso.

Dal fondo del corridoio , senza che ci fosse una porta, si usciva nella “corte” tutta circondata da un alto muro, lungo il muro una vigna. La corte non era molto grande, forse10 metri per 10, ma nell’angolo c’era quello che mi affascinava: la falegnameria del sig. Lotto, abitante del primo piano. Gli dori di “colla caravella” e di legno, gli attrezzi in vista, i trucioli per terra il legno accatastato tutto entro una specie di portico senza porte.

La corte era il luogo fresco d’estate dove i parenti, riuniti nella casa natale, la domenica si trovavano lì.
Peccato che questa casa non esista più, ha lasciato il posto ad un anonimo condominio negli anni ‘60 .
Guido Caburlotto
Novembre 2014

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